Salutato al
suo apparire come uno dei grandi romanzi del secolo,
La
morte di mio fratello Abele
mette in scena, con una selva di personaggi memorabili, la
storia e lo spirito europei in uno spazio temporale che procede
dalla fine della prima guerra mondiale sino agli anni '60, con
un continuo andirivieni cronologico tra i grandi drammi
dell'Europa, cui l'io narrante - uno sceneggiatore cinematografico
che attende all'opera letteraria della propria vita - è testimone
nel passato della memoria e nel presente di una miriade di appunti,
di testi, di documenti, che con tormentato lavorio cerca di
ridurre ad uniti, trasformandoli nel grande romanzo che deve
scrivere. Di questo libro, per la prima volta tradotto in italiano,
Italo Alighiero Chiusino scrive: «In quest'uniti, ove tutto
è
presente continuo, sono legittime e necessarie, senza frattura di
stile, le più svariate commistioni di scritture e di ritmi: dal
resoconto freddo, venato d'un umorismo spesso crudele, alla
rievocazione nostalgica, che però non inclina mai a toni
sentimentali, dalla "gregueria" rabelesiena o
neoespressionista, tutta tagli acri e pennellate dense, alla
miniatura elaboratissima, dove ogni sillaba ha una sua millimetrica,
inesorabile precisione e pregnanza che ricorda la miglior
lirica. Il tono generale è quello di un'aristocratica tristezza, che
però ha troppo pudore per manifestarsi tale, e perciò - con
un'operazione che vorrei addirittura definire etica - si butta
nel giullaresco, nello scanzonato, nel carnale, nel macabro,
nello squisitamente volgare».
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Salutato al suo apparire come uno dei grandi romanzi del secolo, La morte di mio fratello Abele mette in scena, con una selva di personaggi memorabili, la storia e lo spirito europei in uno spazio temporale che procede dalla fine della prima guerra mondiale sino agli anni '60, con un continuo andirivieni cronologico tra i grandi drammi dell'Europa, cui l'io narrante - uno sceneggiatore cinematografico che attende all'opera letteraria della propria vita - è testimone nel passato della memoria e nel presente di una miriade di appunti, di testi, di documenti, che con tormentato lavorio cerca di ridurre ad uniti, trasformandoli nel grande romanzo che deve scrivere. Di questo libro, per la prima volta tradotto in italiano, Italo Alighiero Chiusino scrive: «In quest'uniti, ove tutto è presente continuo, sono legittime e necessarie, senza frattura di stile, le più svariate commistioni di scritture e di ritmi: dal resoconto freddo, venato d'un umorismo spesso crudele, alla rievocazione nostalgica, che però non inclina mai a toni sentimentali, dalla "gregueria" rabelesiena o neoespressionista, tutta tagli acri e pennellate dense, alla miniatura elaboratissima, dove ogni sillaba ha una sua millimetrica, inesorabile precisione e pregnanza che ricorda la miglior lirica. Il tono generale è quello di un'aristocratica tristezza, che però ha troppo pudore per manifestarsi tale, e perciò - con un'operazione che vorrei addirittura definire etica - si butta nel giullaresco, nello scanzonato, nel carnale, nel macabro, nello squisitamente volgare».